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Tutti gli animali sono eguali

La seguente è una famosa argomentazione contro lo specismo — un tipo di discriminazione basato esclusivamente sulla specie a cui appartiene un individuo — tratta da “All Animals Are Equal”, primo capitolo di Liberazione Animale, di Peter Singer, terza edizione.

Quando diciamo che tutti gli esseri umani sono eguali, a prescindere dalla loro razza, credo o sesso, cosa stiamo affermando? Coloro che difendono le società gerarchiche e non egualitarie hanno spesso fatto notare che non è vero che gli umani sono tutti uguali, a prescindere da quale test decidiamo di somministrare loro. Che ci piaccia o meno, dobbiamo fare i conti col fatto che gli umani sono molto diversi tra loro, hanno diverse capacità morali, diverse abilità intellettuali, diverse quantità di benevolenza e di sensibilità verso i bisogni altrui, diverse abilità di comunicare in modo efficace e diverse capacità di provare piacere e dolore. Per farla breve, se la richiesta di eguaglianza fosse basata sull’effettiva eguaglianza di tutti gli esseri umani, dovremmo smettere di esigere eguaglianza. Ciò nonostante, alcuni potrebbero ancora sostenere la tesi secondo cui l’esigenza di eguaglianza tra esseri umani è basata sull’effettiva eguaglianza tra le diverse razze e tra i sessi.

In ogni caso, non c’è ragione di fissare l’argomentazione per l’eguaglianza allo specifico risultato di una ricerca scientifica. A coloro che sostengono di aver trovato la prova di differenze geneticamente determinate nelle abilità delle diverse razze o tra i sessi non si deve rispondere rimanendo convinti che la spiegazione genetica è sicuramente sbagliata, a prescindere dalle eventuali prove discordanti che possono emergere; piuttosto, dovremmo sostenere abbastanza chiaramente che l’eguaglianza non dipende dall’intelligenza, dalla capacità morale, dalla forza fisica o da simili questioni. Non c’è alcuna ragione logicamente convincente per supporre che una differenza oggettiva nell’abilità di due diverse persone giustifichi una qualsiasi differenza nell’importanza che assegniamo ai loro bisogni e interessi. Il principio dell’eguaglianza degli esseri umani non descrive una presunta reale eguaglianza tra gli umani: è un’indicazione di come dovremmo trattare gli esseri umani.

Jeremy Bentham, fondatore della scuola riformatrice utilitarista di filosofia morale, ha incorporato le basi principali dell’equità morale nel suo sistema etico tramite questa formula: “Ciascuno conta uno e nessuno conta più di uno”. In altre parole, gli interessi di qualsiasi essere influenzato da un’azione vanno considerati e soppesati allo stesso modo di quelli di qualunque altro essere. 

Da questo principio di eguaglianza consegue che la nostra attenzione per gli altri e la nostra disponibilità a considerare i loro interessi non dovrebbe dipendere da come sono fatti o da quali abilità posseggono. Quello che poi il nostro interesse ci richiede di fare può variare in base alle caratteristiche di chi subisce l’impatto delle nostre azioni: l’attenzione per il benessere dei bambini americani ci imporrebbe di insegnargli a leggere; l’attenzione per il benessere dei maiali potrebbe richiedere semplicemente di lasciarli con altri maiali in uno spazio adeguatamente ampio da permettergli di correre liberamente e con sufficiente cibo. Ma l’elemento di base — ovvero considerare gli interessi degli altri a prescindere da quali interessi siano — deve, per essere in accordo col principio di eguaglianza, essere applicato a tutti gli esseri, neri o bianchi, maschili o femminili, umani o non-umani. 

Thomas Jefferson, responsabile di aver scritto il principio di eguaglianza degli uomini nella Dichiarazione Americana d’Indipendenza, considerò questo punto. Lo condusse infatti a opporsi alla schiavitù, anche se era incapace di liberarsi completamente dal suo passato di schiavista. Scrisse in una lettera all’autore di un libro che enfatizzava le notevoli gesta intellettuali compiute dai neri per rifiutare l’opinione, allora comune, che i neri avessero ridotte capacità intellettive:

“Le assicuro che non c’è persona vivente al mondo che desideri più di me vedere completamente ricusati quei dubbi che io stesso ho avuto ed espresso a riguardo del grado di comprensione che la natura ha fornito loro e scoprire che sono nostri pari […] ma qualsiasi sia il loro grado di abilità, questo non è una misura dei loro diritti. Solo perché Sir Isaac Newton era superiore in comprensione agli altri, non significa che fosse pertanto signore delle loro proprietà o dell’altrui persona.”

È su questa base che si devono infine fondare la causa contro il razzismo e quella contro il sessismo; ed è coerentemente a questo principio che i comportamenti che noi potremmo definire “specisti”, in analogia con quelli razzisti, devono essere a loro volta condannati. Se il possesso di un più elevato grado d’intelligenza non giustifica un umano a utilizzarne un altro per i propri scopi, come potrebbe giustificarlo a sfruttare un animale non-umano nella stessa maniera? 

Si potrebbe obiettare che è impossibile comparare il modo di soffrire di diverse specie e che per questa ragione, quando gli interessi degli animali e degli umani sono in contrasto, il principio di eguaglianza non può agire da guida. Probabilmente è vero che non si può comparare in modo preciso la sofferenza tra membri di diverse specie, ma la precisione non è essenziale. Anche se dovessimo evitare di infliggere sofferenza agli animali solo nei casi in cui fosse certo che questo non danneggi gli interessi umani in modo anche lontanamente comparabile con il danno arrecato agli animali, saremmo costretti a fare dei cambiamenti radicali nel modo in cui trattiamo gli animali, cambiamenti che coinvolgerebbero la nostra dieta, i metodi di allevamento, le procedure sperimentali in molti campi scientifici, il nostro approccio alla fauna selvatica e alla caccia, il trappolaggio e l’uso delle pellicce, nonché alcuni contesti di intrattenimento come circhi, rodeo e zoo.  Come risultato, scongiureremmo una grande quantità di sofferenza.